La selezione del personale è uno dei processi più delicati per la vita di un’impresa perché implica la capacità di attrarre i migliori talenti sul mercato: quelle persone che possiedono le competenze richieste per la posizione e possono contribuire efficacemente al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Trovare i candidati giusti è tutt’altro che semplice, soprattutto perché la valutazione dei recruiter è spesso influenzata dai cosiddetti bias cognitivi, meccanismi che il cervello adotta per prendere decisioni in modo rapido ed efficiente, basati su giudizi inconsci e rielaborazioni personali, non necessariamente corrispondenti alla realtà oggettiva.

Sapere quali sono i principali bias cognitivi nel recruiting è fondamentale non solo per il candidato, al quale è necessario garantire pari opportunità rispetto agli altri, ma anche per l’impresa, che altrimenti può rischiare di perdere talenti preziosi.

Scopriamo quali sono i principali errori di valutazione in cui i recruiter possono incorrere durante il processo di selezione e quali accorgimenti adottare per gestire e limitare quanto più possibile i bias nel recruitment.

bias cognitivi nel recruiting
bias cognitivi nel recruiting

quali sono i bias più comuni nel recruiting.

Affinché il processo di recruiting possa essere realmente vantaggioso per l’impresa e consentirle di entrare in contatto con professionisti qualificati e allineati con i suoi valori, è necessario che i recruiter incaricati della selezione siano liberi da pregiudizi o preconcetti.

Lasciarsi guidare dai bias è normale per noi essere umani. Sono scorciatoie mentali a cui inconsciamente ricorriamo per fare meno fatica a livello cognitivo o per darci una spiegazione quando questa, apparentemente, non c’è.

Nell’ambito della selezione del personale, i bias cognitivi possono produrre diversi effetti negativi, tra cui:

  • perdita di talenti. Il rischio è scartare candidati qualificati e adatti per il ruolo solo perché non corrispondono a determinate aspettative o preconcetti. Questo può far perdere all'azienda l'opportunità di assumere persone di talento;
  • riduzione della diversità. I pregiudizi possono portare a preferire determinati tipi di candidati, limitando così la diversità all'interno dell'azienda. La mancanza di diversità può influenzare negativamente la creatività e l'innovazione;
  • cattiva reputazione aziendale. Le pratiche di selezione percepite come ingiuste o discriminatorie possono danneggiare la reputazione dell'azienda. I candidati esclusi ingiustamente possono scoraggiare altri talenti dal candidarsi;
  • aumento del turnover. Se il processo di recruiting è influenzato da bias cognitivi, è probabile che vengano assunte persone che non sono veramente adatte al ruolo o alla cultura aziendale. Questo può portare a un aumento del tasso di turnover;
  • costi elevati. Il processo di selezione del personale influenzato dai bias può risultare inefficace, portando a un aumento dei costi legati alla ricerca e alla formazione di nuovi dipendenti;
  • produttività ridotta. Assumere candidati non idonei può influire negativamente sulla produttività complessiva dell'azienda perché le persone selezionate potrebbero non possedere le competenze necessarie per svolgere efficacemente il proprio lavoro;
  • mancato allineamento con i valori aziendali. I bias possono portare a selezionare candidati che non condividono i valori e la cultura aziendale, creando disarmonia e riducendo l'engagement dei dipendenti.

Vediamo quali sono i bias cognitivi più comuni nel recruiting.

bias di tipo mnemonico.

I bias di tipo mnemonico sono distorsioni cognitive legate alla memoria, che possono influenzare il giudizio durante il processo di selezione del personale. Durante la valutazione dei candidati, alcuni dettagli possono essere ricordati più facilmente rispetto ad altri, portando a decisioni non completamente obiettive.

Ecco i principali bias mnemonici:

  • effetto recency. Si verifica quando le informazioni recenti vengono ricordate più facilmente. Questo può portare a preferire l'ultima persona intervistata semplicemente perché il colloquio è ancora fresco nella memoria del recruiter;
  • effetto della semplice esposizione. Si manifesta quando si sviluppa una preferenza per caratteristiche familiari. Un recruiter potrebbe avere una percezione positiva di candidati già incontrati in precedenza, rispetto a persone che hanno appena iniziato il processo di selezione; 
  • effetto primacy. È un errore cognitivo in cui le prime informazioni ricevute influenzano l'impressione complessiva del candidato. Ad esempio, se una persona arriva in ritardo, il recruiter potrebbe considerarla poco interessata alla posizione. Oppure, se la stretta di mano è debole, il recruiter potrebbe pensare che manchi di fiducia o di capacità di leadership.

bias che rafforzano le convinzioni.

I bias cognitivi che rafforzano le convinzioni sono un ostacolo nei processi di selezione del personale. Questi influenzano il modo in cui vengono interpretate le informazioni, portando a preferire dettagli che confermano idee già esistenti. Avviene perché il cervello tende a valorizzare le informazioni che conosce, portando a errori di valutazione legati a preconcetti.

Tra questi rientrano:

  • bias della previsione o del falso consenso. Porta a credere che la maggior parte delle persone condivida il nostro modo di pensare e le nostre opinioni. Nel contesto del recruiting, può indurre i selezionatori a sovrastimare l'importanza di elementi condivisi, come valori personali o hobby, attribuendoli erroneamente a competenze professionali. Questo può portare all'assunzione di persone con un background simile a quello dei recruiter stessi, perpetuando così la mancanza di diversità all'interno dell'azienda;
  • stereotipi o pregiudizi impliciti. Questi bias fanno associare determinati tratti di personalità a informazioni superficiali. Per esempio, i recruiter potrebbero pensare che una persona che pratica sport di squadra sia necessariamente molto socievole e inadatta a lavorare da sola oppure che professionisti provenienti da una prestigiosa università siano più competenti rispetto ad altri candidati, senza considerare altre qualità o esperienze;
  • effetto alone. Si basa sulla prima impressione che tende a influenzare tutte le interazioni successive con la persona. Un esempio è giudicare qualcuno che si reputa attraente come più competente, mentre si potrebbe essere più critici nei confronti di altri. Questo tipo di pregiudizio può distorcere la valutazione delle competenze reali dei candidati, basandosi su aspetti soggettivi e irrilevanti per il ruolo professionale.

bias che influenzano il giudizio.

I bias che influenzano il giudizio si verificano quando i recruiter, spesso inconsapevolmente, cercano di confermare le proprie ipotesi su una persona Questo può portare a indirizzare le domande in modo da validare le proprie convinzioni, distorcendo il processo di valutazione.

Rientrano in questa categoria di bias:

  • effetto framing. Questo bias porta il recruiter a formulare domande in base alle proprie convinzioni, che possono avere una connotazione positiva o negativa. È un approccio che può dare l'illusione di avere una visione completa della situazione, ma in realtà condiziona la persona a rispondere in modo da confermare le aspettative del selezionatore;
  • effetto di contrasto. Si verifica quando il giudizio del recruiter su una persona è influenzato dal confronto con altri professionisti valutati in precedenza. Ad esempio, dopo aver incontrato un candidato particolarmente qualificato, gli altri colloqui potrebbero sembrare meno impressionanti, anche se i candidati successivi hanno competenze e potenzialità valide. Questo può portare a decisioni non obiettive, dove alcuni candidati non ricevono lo stesso trattamento perché il recruiter ha già una preferenza basata su un confronto sbilanciato.

diversity hiring: come superare i bias nel recruiting.

I bias cognitivi non possono essere eliminati completamente perché sono modelli decisionali inconsci. Tuttavia, è possibile limitarne l’effetto negativo sul processo di selezione adottando alcuni accorgimenti.

Una delle strategie che le aziende possono adottare per limitare i bias nel processo di recruiting è il diversity hiring, un approccio alla selezione che promuove la diversità e l'inclusione.

Nello specifico, il diversity hiring si basa sulla valorizzazione delle differenze tra i candidati, tenendo conto di aspetti come genere, etnia, età, background culturale e abilità. Per implementarlo efficacemente nel processo di selezione è necessario adottare alcune pratiche specifiche:

  • formazione dei recruiter. I responsabili delle assunzioni devono essere formati per riconoscere e gestire i bias cognitivi;
  • interviste strutturate. Utilizzare un formato di intervista standardizzato con domande predeterminate può aiutare a ridurre l'influenza dei bias. Questo approccio garantisce che tutti i candidati siano valutati sulla base degli stessi criteri;
  • uso di strumenti tecnologici. Esistono piattaforme di recruiting che aiutano ad analizzare le candidature in modo oggettivo, minimizzando l’influenza dei bias. Tra gli strumenti più utilizzati negli ultimi tempi ci sono gli algoritmi di Intelligenza Artificiale per la selezione dei CV e per la valutazione delle competenze dei candidati;
  • diversificazione del team di selezione. Coinvolgere persone di background diversi nel processo di selezione può contribuire a ridurre i bias. Un team eterogeneo è più propenso a valutare i candidati da prospettive diverse;
  • valutazione delle politiche aziendali. È importante rivedere regolarmente le politiche e le pratiche di assunzione per assicurarsi che promuovano effettivamente la diversità e l'inclusione.

Questa strategia permette di limitare i bias nel processo di recruiting e di creare un ambiente di lavoro inclusivo in grado di valorizzare le caratteristiche distintive di ogni dipendente, favorendo la creatività e l’innovazione all’interno dell’organizzazione.

Un grande vantaggio, questo, per le aziende che desiderano attrarre e trattenere i migliori talenti, come dimostrato dall’Employer Brand Research di Randstad. 

Dall’indagine è emerso che uno dei driver principali nella scelta del datore di lavoro, soprattutto per le generazioni più giovani, è l’attenzione nei confronti dei valori della diversità e dell’inclusione. Impegno che si manifesta anche attraverso un processo di selezione equo e libero da bias cognitivi.

come l'AI può ridurre i bias.

Anche l’Intelligenza Artificiale può aiutare a limitare i bias cognitivi nel recruiting, rendendo il processo di selezione più equo.

Gli algoritmi di apprendimento automatico sono in grado di analizzare grandi quantità di dati e permettono di valutare i candidati in modo oggettivo, considerando solo le variabili rilevanti per il ruolo.

Se applicata ai sistemi ATS, per esempio, l’AI consente di automatizzare lo screening dei CV, migliorando l’efficienza del processo di selezione e lasciando il tempo ai recruiter per approfondire la valutazione di ciascun candidato.

L'uso dell'AI in questo ambito offre anche la possibilità di verificare le decisioni prese dagli algoritmi. Questo è un vantaggio rispetto alle selezioni condotte da recruiter, spesso influenzate da pregiudizi inconsci.

L’Intelligenza Artificiale rappresenta senza dubbio una grande opportunità per chi si occupa di selezione del personale, ma deve essere utilizzata in modo responsabile perché anch’essa potrebbe essere influenzata da bias, considerato che i dati utilizzati per addestrarla si basano su scelte umane.

È chiaro che, almeno nel prossimo futuro, l’intelligenza umana dovrà continuare ad affiancare quella artificiale nel recruiting. Tuttavia, i selezionatori, utilizzando questa tecnologia, hanno la possibilità di rendere i processi più equi ed efficienti, migliorando la diversità e la rappresentatività della forza lavoro.

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