Quando si sottoscrive un contratto di lavoro, datore di lavoro e lavoratore concordano una serie di condizioni, tra cui la sede presso la quale il dipendente dovrà svolgere la prestazione lavorativa.

Nel contesto della gestione delle risorse umane, in merito al trasferimento del lavoratore in una nuova sede lavorativa, la legge consente al datore di lavoro di modificare unilateralmente alcune condizioni contrattuali, inclusa la sede di lavoro originariamente concordata.

Ma cosa succede se il trasferimento del dipendente avviene durante il periodo di maternità o mentre si assiste un familiare disabile? Esistono tutele normative specifiche per i lavoratori che si trovano in queste situazioni.

mamma e figlio che giocano
mamma e figlio che giocano

quando può essere disposto il trasferimento del lavoratore?

Il luogo presso cui il lavoratore è chiamato a svolgere la propria attività lavorativa è uno degli elementi più importanti dei contratti di lavoro perché è proprio intorno ad esso che il lavoratore organizza la sua esistenza. Il trasferimento può influenzare significativamente l'equilibrio tra vita lavorativa e personale del dipendente, oltre che il clima aziendale.

La legge conferisce al datore di lavoro il potere di modificare la sede di lavoro del dipendente, ma solo per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, come stabilito dall’art. 2103 del codice civile.

Tali ragioni possono includere esigenze di produzione, programmazione o gestione economica legate alla nuova sede di lavoro. Per esempio, il trasferimento è legittimo se giustificato da situazioni di incompatibilità tra colleghi che causano inefficienze produttive. In questo caso, il datore di lavoro può trasferire il dipendente per motivi tecnici, organizzativi e produttivi.

È fondamentale che le motivazioni alla base del trasferimento siano presenti al momento in cui il datore di lavoro prende questa decisione, che siano oggettive e che l'azienda possa dimostrarle in caso di contestazione da parte del lavoratore. 

Quando il trasferimento riguarda più dipendenti, è necessario che le ragioni tecniche, organizzative e produttive sussistano nei confronti di tutti i lavoratori interessati, considerati singolarmente.

I limiti entro cui il datore di lavoro ha la possibilità di modificare la sede della prestazione lavorativa possono variare in base al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) di riferimento, che potrebbe prevedere condizioni aggiuntive e più dettagliate.

maternità e trasferimento sede lavorativa.

Quando il dipendente coinvolto nel trasferimento è una neo-mamma, la questione diventa più complessa. Durante la maternità, le donne vivono un periodo delicato in cui l'unità familiare, la vicinanza ai propri affetti e la stabilità lavorativa diventano essenziali.

in quali casi la lavoratrice madre può rifiutare il trasferimento.

L’assenza per maternità è un diritto della donna stabilito dalla legge e il datore di lavoro non può in nessun modo cercare di estrometterla dalle sue mansioni disponendone il trasferimento.

Al termine del congedo obbligatorio per maternità, la lavoratrice ha il diritto di tornare nella stessa sede dove lavorava prima dell’assenza o in una sede situata nello stesso Comune. Questo diritto perdura fino al compimento del primo anno di età del bambino.

Se il datore di lavoro propone un trasferimento in una sede situata in un Comune diverso prima che il bambino compia un anno, la lavoratrice può rifiutarlo. Lo stesso vale se il trasferimento è motivato da ragioni discriminatorie legate alla maternità e non da esigenze tecniche, organizzative o produttive oggettive.

La giurisprudenza ha chiarito che il trasferimento della lavoratrice madre in un altro Comune è legittimo solo in casi specifici, come la chiusura definitiva del reparto in cui lavorava o l’impossibilità di sfruttare la sua prestazione lavorativa nella stessa città.

in quali casi è vietato il licenziamento della madre.

Il diniego da parte della lavoratrice di trasferirsi presso una sede lontana rispetto al luogo in cui lavorava prima del periodo di maternità non può rappresentare una motivazione valida per avviare una pratica di licenziamento per giusta causa.

La legge italiana, in materia di contratti lavorativi, tutela infatti le dipendenti madri - o in stato di gravidanza - e il licenziamento è vietato dal momento di inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Allo stesso modo sono tutelati anche i padri lavoratori che usufruiscono del congedo di paternità, sempre fino al compimento di un anno di età del figlio.

La Corte di Cassazione ha stabilito che, per essere considerato legittimo, il licenziamento deve essere giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. In particolare, è necessario che il datore di lavoro dimostri che l’attività dell’azienda o del reparto in cui la dipendente lavora è stata sospesa.

legge 104: trasferimento familiari di disabili.

L’art. 33, comma 5, della legge 104 del 5 febbraio 1992 stabilisce che i familiari che prestano assistenza a persone disabili hanno diritto a un trattamento speciale in merito alla sede di lavoro.

quando si può parlare di tutela sui trasferimenti.

La legge 104 stabilisce che i familiari lavoratori che assistono continuativamente un parente o affine disabile entro il terzo grado hanno il diritto di scegliere, quando possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e che non possono essere trasferiti senza il loro consenso.

Secondo la Cassazione (sentenza n. 704 del 18 gennaio 2021, sentenza n. 24015 del 12 ottobre 2017, sentenza n. 12729 del 19 maggio 2017), tuttavia, l'azienda può giustificare il trasferimento se dimostra esigenze urgenti, effettive e irrinunciabili, bilanciando tali necessità con la natura e il grado di infermità del familiare assistito dal lavoratore.

La legge prevede che il trasferimento può essere considerato legittimo in caso di incompatibilità della permanenza del dipendente nella sede di lavoro. La Cassazione (sentenza n. 24775 del 5 novembre 2013, sentenza n. 16102 del 9 luglio 2009) ha stabilito che il trasferimento può essere disposto se la permanenza del lavoratore causa tensioni o conflitti che influenzano negativamente il benessere aziendale e compromettono il regolare svolgimento dell'attività lavorativa.

Riguardo la tutela sui trasferimenti, la Suprema Corte (sentenza n. 29009 del 17 dicembre 2020) ha chiarito che essa decorre dal momento della presentazione della domanda all'INPS per ottenere i benefici della legge 104 e non dalla data del provvedimento concessorio.

chi ha diritto alla tutela sui trasferimenti di sede?

La tutela sui trasferimenti di sede è garantita principalmente ai lavoratori che assistono un familiare disabile, come stabilito dalla legge 104. Tuttavia, questa protezione può estendersi anche a chi non ha ancora ottenuto il riconoscimento formale dei diritti previsti dalla suddetta legge.

Con la pronuncia n. 25379 del 12 dicembre 2016, infatti, gli Ermellini hanno giudicato illegittima la manovra di trasferimento presso altra sede anche per coloro che non godono dei diritti garantiti dalla legge 104.

Si evince chiaramente dalla pronuncia che anche chi non avesse ancora ottenuto il riconoscimento dei diritti previsti dalla legge 104 può presentare al datore di lavoro un certificato dello stato di famiglia in cui sia presente il familiare disabile ed essere tutelato sui trasferimenti di sede.

licenziamento per rifiuto di trasferimento per legge 104.

La Cassazione, con la sentenza n. 24015 del 12 ottobre 2017, ha stabilito che è illegittimo licenziare un lavoratore che rifiuta un trasferimento a causa della necessità di assistere un familiare disabile.

Il licenziamento è legittimo solo se il datore di lavoro dimostra che il trasferimento è stato disposto per reali esigenze tecniche, organizzative e operative che non potevano essere soddisfatte altrimenti.

Questo principio si applica sia ai lavoratori che godono dei diritti della legge 104 sia a quelli che non ne beneficiano, purché dimostrino la necessità di assistenza familiare. La presenza o meno della documentazione attestante l’effettivo stato di disabilità non può, infatti, essere presa in considerazione per avviare il licenziamento del dipendente, ma si deve invece “procedere ad una valutazione della serietà e della rilevanza - sotto lo specifico profilo della necessità di assistenza - dell’handicap”.

Si ricorda che, quando il trasferimento è privo di ragioni giustificate e crea gravi disagi, la lavoratrice neo-mamma e il lavoratore che assiste un familiare disabile possono considerare le dimissioni volontarie per giusta causa come ultima risorsa. Anche in questo caso, è importante conoscere i propri diritti e le procedure per tutelarsi.

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