Il luogo di lavoro non è soltanto lo spazio fisico in cui il lavoratore si reca per svolgere le sue attività professionali, ma anche il fulcro attorno al quale egli organizza la sua intera esistenza. 

Il trasferimento in una sede lavorativa diversa rispetto a quella inizialmente concordata rientra tra le facoltà del datore di lavoro, che può modificare unilateralmente alcune condizioni contrattuali.

Vediamo in cosa consiste il trasferimento del lavoratore, quando è legittimo e in quali circostanze il dipendente può opporsi.

trasferimento del lavoratore
trasferimento del lavoratore

in cosa consiste il trasferimento del lavoratore?

Il trasferimento del lavoratore comporta lo spostamento permanente e senza limiti di durata del dipendente in una sede di lavoro diversa da quella originariamente concordata con il datore di lavoro al momento della firma del contratto.

Questo cambiamento dovrebbe essere comunicato per iscritto, con un preavviso adeguato per consentire al dipendente di organizzarsi al meglio. La durata dello stesso varia in base al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) di riferimento.

Ad esempio, il CCNL Commercio prevede un preavviso di 45 giorni per i lavoratori che hanno responsabilità di direzione esecutiva e per i quali il trasferimento comporta un cambio di residenza. Il termine si estende a 70 giorni per i lavoratori con familiari a carico.

Sebbene il datore di lavoro non sia obbligato a motivare le ragioni del trasferimento, parte della giurisprudenza concorda sul fatto che egli sia tenuto a farlo su esplicita richiesta del dipendente. L’onere di provare le fondate ragioni di questa decisione subentra nel momento in cui il lavoratore contesta la legittimità del trasferimento.

quali sono i requisiti del trasferimento?

Il trasferimento del lavoratore è disciplinato dall’art. 2103 del codice civile, il quale stabilisce che il datore di lavoro può cambiare la sede di lavoro del dipendente, ma solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Queste motivazioni possono riguardare necessità di produzione, gestione economica o pianificazione aziendale. Ad esempio, è possibile il trasferimento di un dipendente la cui presenza non è più utile nella sede attuale o le cui competenze sono necessarie in un’altra sede di lavoro.

Affinché il trasferimento sia considerato legittimo, le motivazioni che ne stanno alla base e che il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare in caso di contestazione da parte del lavoratore, devono essere oggettive e presenti prima che lo stesso venga attuato.

Se il cambiamento di sede interessa più dipendenti, le ragioni tecniche, organizzative e produttive devono sussistere per ciascuno dei lavoratori coinvolti, considerati individualmente.

Le circostanze in cui il datore di lavoro è autorizzato a modificare unilateralmente la sede di lavoro del dipendente possono variare in base al CCNL di riferimento. Alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro, infatti, stabiliscono condizioni specifiche e ulteriori limiti rispetto a quelli previsti dalla legge.

in quali casi il lavoratore può opporsi al trasferimento imposto dal datore di lavoro?

È possibile opporsi al trasferimento imposto dal datore di lavoro nel caso in cui esso non sia giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive o venga attuato nei confronti di categorie di lavoratori che godono di particolari tutele.

Il trasferimento è illegittimo quando è determinato da motivi discriminatori che riguardano l’etnia, il sesso, l'età o l’orientamento sessuale del dipendente. Può essere contestato anche trasferimento del dipendente sindacalista, in assenza del consenso dell'organizzazione sindacale di appartenenza.

Il trasferimento è altresì considerato illegittimo quando è utilizzato come una forma di punizione per un’azione legittima compiuta dal dipendente. Anche la destinazione a mansioni inferiori rispetto a quelle svolte precedentemente rende il trasferimento illegittimo. Questo tipo di demansionamento è proibito, in quanto lede la dignità del lavoratore e contravviene alla normativa che tutela le condizioni di lavoro.

Inoltre, se il datore di lavoro non è in grado di fornire una motivazione adeguata al lavoratore che ne faccia richiesta, il trasferimento può essere ritenuto nullo. Lo stesso discorso vale se il datore di lavoro viola il principio di correttezza e buona fede, ovvero se le ragioni che giustificano il trasferimento possono essere soddisfatte in un altro modo, meno impattante per il lavoratore.

Come già accennato, il dipendente può opporsi al trasferimento disposto dal datore di lavoro se appartiene a categorie protette, come le madri lavoratrici o i lavoratori che prestano assistenza a un familiare disabile.

Le neo-mamme possono opporsi al trasferimento se, al termine del congedo obbligatorio per maternità, vengono assegnate a una sede di lavoro diversa e situata fuori dal Comune in cui lavoravano prima dell'assenza, entro il primo anno di vita del bambino.

Secondo la giurisprudenza, il trasferimento di una madre lavoratrice in un altro Comune è ammesso solo in circostanze eccezionali, come la chiusura definitiva del reparto in cui era impiegata.

Analogamente, un dipendente che assiste un parente o affine disabile entro il terzo grado può rifiutare il trasferimento. La legge 104 stabilisce che il lavoratore che presta assistenza ad un familiare disabile non può essere trasferito senza il suo consenso.

Ci sono però delle eccezioni. La Cassazione riconosce il trasferimento come legittimo se motivato da necessità urgenti ed effettive e il datore di lavoro è in grado di dimostrare che queste esigenze possono essere soddisfatte nonostante l’infermità del familiare assistito dal lavoratore.

come impugnare un trasferimento illegittimo o nullo.

Se si riceve la comunicazione di trasferimento e si ritiene che questo sia illegittimo, il primo passo è chiedere al datore di lavoro le motivazioni alla base della sua decisione. Successivamente, è consigliabile consultare il proprio CCNL per verificare se siano previste clausole che limitino o vietino il trasferimento.

Il lavoratore ha 60 giorni di tempo dalla ricezione della comunicazione per impugnare il trasferimento. L’impugnazione diventa inefficace se entro i 180 giorni successivi non viene inviata una richiesta di conciliazione al datore di lavoro o non viene presentato ricorso in tribunale.

In questa fase, è importante valutare con attenzione se rifiutare o meno di lavorare nella nuova sede perché il fatto che il trasferimento sia illegittimo non autorizza automaticamente il lavoratore a non svolgere le proprie mansioni.

Se la richiesta di conciliazione viene rifiutata oppure non si riesce a raggiungere un accordo con il datore di lavoro, il lavoratore ha 60 giorni di tempo per presentare ricorso presso il tribunale competente.

Il supporto di un avvocato esperto in Diritto del Lavoro è essenziale per tutelare i propri diritti e assicurarsi che le procedure necessarie per contestare il trasferimento illegittimo siano seguite correttamente.

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