È possibile ricorrere al licenziamento per giusta causa quando il lavoratore mette in atto una condotta talmente grave da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, rendendo impossibile la prosecuzione, anche solo temporanea, della collaborazione.

Si tratta di una misura eccezionale che comporta l’interruzione immediata del rapporto di lavoro. Per questo, il suo utilizzo deve avvenire nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori.

Vediamo insieme tutto quello che c’è da sapere sul licenziamento per giusta causa, le conseguenze per il lavoratore e cosa si può fare a riguardo.

licenziamento per giusta causa cos'è
licenziamento per giusta causa cos'è

licenziamento per giusta causa.

L’articolo 2119 del codice civile prevede che il contratto di lavoro possa essere risolto da una delle parti quando si verificano circostanze che rendono impossibile la prosecuzione, anche provvisoria,  del rapporto di lavoro.

Questa norma si basa sul principio per cui il rapporto di lavoro si regge su un vincolo di fiducia reciproca, il cui venir meno giustifica l’interruzione immediata della collaborazione, senza che sia necessario rispettare la scadenza naturale del contratto o l’obbligo di preavviso.

Esempi di comportamenti che possono configurare una giusta causa sono:

  • gravi episodi di insubordinazione, come minacce, insulti o rifiuto di svolgere le mansioni assegnate;
  • furto o appropriazione indebita di beni aziendali;
  • diffamazione dell’azienda o dei suoi prodotti;
  • abbandono ingiustificato del posto di lavoro, con conseguenti rischi per la sicurezza;
  • comportamenti intimidatori verso colleghi o superiori;
  • danneggiamento intenzionale di beni aziendali;
  • dichiarazioni false relative a infortuni o malattia;
  • violazione di obblighi contrattuali, come il patto di non concorrenza;
  • utilizzo improprio dei permessi concessi dalla legge 104/1992;
  • false timbrature del cartellino.

licenziamento per giustificato motivo.

L'ordinamento giuridico italiano, in materia di rapporti di lavoro subordinati, riconosce tre tipologie di licenziamento:

  • per giusta causa;
  • per giustificato motivo oggettivo;
  • per giustificato motivo soggettivo. 

Il licenziamento per giusta causa si applica quando la condotta del lavoratore è talmente grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Si parla, invece, di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, quando la decisione di interrompere il rapporto di lavoro è determinata da ragioni indipendenti dalla condotta del lavoratore, ma riconducibili a esigenze organizzative, produttive o economiche dell’azienda (riorganizzazione interna, chiusura di un reparto, fallimento, liquidazione, soppressione del posto di lavoro, …).

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, invece, può essere applicato a seguito di comportamenti del dipendente che, pur non così gravi da giustificare l’interruzione immediata della collaborazione, ledono comunque la fiducia tra le parti (assenze/ritardi ingiustificati e reiterati, scarso rendimento, assenza per malattia oltre il periodo massimo di comporto, …).

La principale differenza tra il licenziamento per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) e quello per giusta causa risiede dunque nel preavviso. Nel caso del licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro può recedere da un contratto a tempo indeterminato senza obbligo di preavviso. 

Se, invece, il licenziamento è per giustificato motivo oggettivo o soggettivo, il rapporto di lavoro non si interrompe immediatamente. Il datore di lavoro è tenuto a rispettare il periodo di preavviso stabilito dal CCNL di riferimento. Se non rispetta tale obbligo, deve corrispondere al lavoratore l’indennità di mancato preavviso, una somma pari alla retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se avesse lavorato durante il periodo di preavviso.

conseguenze per il lavoratore.

Il licenziamento per giusta causa comporta l’interruzione immediata del rapporto di lavoro. La gravità della condotta attribuita al lavoratore è infatti tale da compromettere irreparabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, rendendo inevitabile una cessazione immediata del contratto.

L’articolo 2119 del codice civile, che disciplina questa forma di recesso contrattuale, prevede che, in presenza di motivazioni gravi, il rapporto di lavoro possa essere interrotto in qualsiasi momento, sia dal datore di lavoro tramite licenziamento, sia dal lavoratore attraverso le dimissioni (leggi anche: come dare le dimissioni).

Per le assunzioni a tempo determinato, è possibile interrompere il rapporto di lavoro prima della scadenza naturale del contratto. Nel caso di contratti a tempo indeterminato, il recesso per giusta causa, sia esso un licenziamento o una dimissione (scopri di più su come scrivere una lettera di dimissioni) è consentito senza l’obbligo di rispettare il periodo di preavviso previsto dal CCNL di riferimento.

Di conseguenza, al lavoratore con contratto indeterminato licenziato per giusta causa non spetta l’indennità di preavviso, ossia quella somma che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore quando il rapporto si conclude senza rispettare i termini di preavviso stabiliti dal CCNL. 

Un aspetto importante da evidenziare è che le motivazioni alla base del licenziamento non vengono registrate in alcun documento ufficiale, inclusa la scheda professionale del lavoratore presso il Centro per l’impiego (Cpi). Pertanto, il licenziamento per giusta causa non produce conseguenze formali che possano ostacolare la ricerca di una nuova occupazione.

Il lavoratore conserva comunque il diritto al Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Questo compenso, maturato durante l’intero periodo lavorativo, deve essere corrisposto alla fine del rapporto di lavoro, indipendentemente dalle cause della cessazione del contratto.

Anche l’accesso alla NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) è garantito, in quanto il licenziamento per giusta causa, pur derivando da una condotta grave del lavoratore, è considerato una perdita involontaria dell’occupazione.

licenziamento illegittimo: cosa si può fare.

Se il lavoratore considera ingiusto il licenziamento per giusta causa, ha la possibilità di contestarlo attraverso gli strumenti previsti dalla legge. Sarà il giudice del lavoro a stabilire se le motivazioni fornite dal datore di lavoro siano effettivamente fondate e se la sanzione applicata sia proporzionata alla presunta gravità dei fatti attribuiti al dipendente.

Per avviare la contestazione, il lavoratore deve rispettare scadenze precise. Entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione di licenziamento, deve inviare al datore di lavoro una dichiarazione scritta in cui si esprime chiaramente la volontà di impugnare il provvedimento. Entro 180 giorni dalla data di invio di tale dichiarazione, il lavoratore deve presentare il ricorso presso il tribunale, rivolgendosi alla sezione competente in materia di lavoro.

I regimi di tutela applicabili in caso di licenziamento per giusta causa ritenuto illegittimo variano in base alla data di assunzione del lavoratore (primo o dopo del 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.lgs. n. 23/2015 relativo alle cd tutele crescenti) e al numero di dipendenti dell’azienda.

Tutti i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, indipendentemente dal numero di dipendenti occupati dal datore di lavoro, in caso di licenziamento nullo o inefficace, hanno diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e a un risarcimento pari alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento fino alla data dell’effettiva riassunzione.

Ai lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, in caso di licenziamento per giusta causa ritenuto illegittimo, spetta generalmente soltanto un risarcimento economico. 

In caso di licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale, a tutti i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 spetta la reintegrazione (indipendentemente dal numero di dipendenti dell’azienda). In alternativa, il lavoratore può scegliere la corrispondenza di un indennizzo pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione.

Per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 presso aziende che superano le soglie dimensionali previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, in caso di insussistenza del fatto materiale contestato, è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro, il versamento dei contributi previdenziali e un’indennità risarcitoria. Quest’ultima, commisurata all’ultima retribuzione, copre il periodo tra il licenziamento e la reintegrazione, e non può superare le 12 mensilità.

Nel caso di aziende di dimensioni minori, invece, non è prevista la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di insussistenza del fatto contestato. L’indennità economica è ridotta e calcolata come 1 mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 3 e un massimo di 6 mensilità.

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