La disciplina sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti è stata introdotta dal Decreto Legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 6 marzo 2015 ed entrato in vigore il 7 marzo 2015.

La normativa si inserisce nel complesso dei decreti attuativi della legge n. 183 del 10 dicembre 2014, nota come Jobs Act, che ha previsto numerose deleghe al Governo per la riforma del mercato del lavoro, come fortemente voluto dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Il decreto che si applica ai lavoratori subordinati assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto attuativo, ha introdotto un nuovo regime di tutela per i licenziamenti illegittimi, sia individuali che collettivi.

Vediamo nel dettaglio cos’è e come funziona il contratto indeterminato a tutele crescenti.

contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti
contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti

cos'è e come funziona il contratto a tutele crescenti.

Il contratto di lavoro a tutele crescenti non è una nuova forma contrattuale, ma un nuovo quadro normativo che regola i licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti con un contratto a tempo indeterminato, sostituendo la disciplina di cui all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970).

L’articolo 18 prevedeva una tutela eccessiva per il lavoratore in caso di licenziamento, imponendo alle aziende il rischio di pagare risarcimenti molto ingenti e sproporzionati.

L'intento del Governo era rivedere queste norme perché ritenute eccessivamente protettive nei confronti dei lavoratori e penalizzanti per i datori di lavoro. Inoltre, l’intenzione del legislatore era ridurre la discrezionalità del giudice nelle decisioni riguardanti il reintegro e il risarcimento economico.

Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, è stato dunque introdotto un nuovo regime di tutela per i licenziamenti illegittimi, sia individuali che collettivi, attenuando ogni possibile fattore di discrezionalità del giudice e prevedendo un’indennità risarcitoria crescente in base all’anzianità di servizio maturata dal lavoratore.

L'obiettivo del Decreto è proteggere i lavoratori assunti a tempo indeterminato contro i licenziamenti illegittimi con modalità diverse rispetto al passato, favorendo al contempo le assunzioni a tempo indeterminato da parte dei datori di lavoro grazie a una normativa più chiara sui licenziamenti.

a chi si applica il contratto a tutele crescenti.

Il contratto a tutele crescenti si applica ai lavoratori subordinati a tempo indeterminato (operai, impiegati e quadri) e agli apprendisti del settore privato assunti dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 23 del 4 marzo 2015. 

Il nuovo regime si applica anche a coloro che, a partire dal 7 marzo 2015, hanno avuto una trasformazione del contratto a tempo determinato o del contratto di apprendistato in un contratto a tempo indeterminato.

Inoltre, il regime riguarda i lavoratori già assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015 se l'azienda per cui lavorano, in seguito a nuove assunzioni a tempo indeterminato dopo tale data, supera la soglia di 15 dipendenti. In questo caso, il contratto a tutele crescenti diventa obbligatorio per tutti i dipendenti dell'azienda, indipendentemente dalla data di assunzione.

La normativa interessa tutte le aziende, comprese micro, piccole e medie imprese. Si applica anche ai datori di lavoro non imprenditori che svolgono attività senza scopo di lucro di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, religione o culto. Sono esclusi, invece, i dipendenti della Pubblica Amministrazione, soggetti a una disciplina a sé stante.

Per i rapporti di lavoro già in essere alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, continua a valere la disciplina precedente come modificata dalla Riforma Fornero. Pertanto, all'interno della stessa azienda, possono esserci lavoratori soggetti al nuovo regime di tutele crescenti e lavoratori sottoposti alla vecchia normativa.

contratto a tutele crescenti e licenziamenti.

Il Decreto Legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, come già detto, ha introdotto un nuovo regime di tutela per i casi di licenziamento illegittimo, sia individuali che collettivi, semplificando il percorso del lavoratore dall'azienda, eliminando la discrezionalità del giudice e prevedendo un’indennità economica crescente in base all'anzianità di servizio del lavoratore.

La reintegra del lavoratore in azienda è prevista solo in caso di:

  • licenziamento discriminatorio, motivato da ragioni legate a credo politico, fede religiosa, appartenenza sindacale, partecipazione a scioperi, nonché discriminazioni basate su razza, lingua, genere, disabilità, età, orientamento sessuale o convinzioni personali;
  • licenziamento durante periodi di tutela, come il primo anno di matrimonio o durante la maternità;
  • licenziamento per motivo illecito;
  • licenziamento intimato in forma orale.

Il lavoratore che si trova in una di queste situazioni ha diritto ad essere reintrodotto in azienda, al risarcimento dei danni e al versamento dei contributi previdenziali che non gli sono stati riconosciuti dalla data del licenziamento.

Il risarcimento è commisurato all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo TFR, dalla data del licenziamento a quella della reintegra, e corrisponde per legge a un minimo di 5 mensilità. 

Il lavoratore può scegliere di non rientrare al lavoro e richiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione in azienda, un'indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. La richiesta deve essere presentata entro 30 giorni dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio.

In caso di licenziamento per giustificato motivo o giusta causa, non è prevista la reintegra, ma un’indennità pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno lavorato, in misura non inferiore a 4 mensilità e non superiore a 24.

Se il fatto contestato al lavoratore non sussiste, il licenziamento è nullo, con conseguente obbligo del datore di lavoro di reintegrare il lavoratore e condanna al risarcimento economico. Anche in questo caso, il risarcimento è commisurato all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR e il limite massimo per legge corrisponde a 12 mensilità.

Il lavoratore, anche in questa situazione, può richiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione in azienda, un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

Quelli suddetti sono parametri generali. Per i licenziamenti senza giusta causa, inoltre l’ammontare del risarcimento varia in base alla dimensione dell’azienda:

  • se l’azienda occupa più di 15 dipendenti, il datore di lavoro deve al dipendente un risarcimento pari a 2 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno lavorato, in misura non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità;
  • se, invece, l’azienda occupa fino a 15 dipendenti, il datore di lavoro è obbligato al pagamento di un’indennità economica pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno lavorato, in misura non inferiore a 2 e non superiore a 6 mensilità.

Tra i licenziamenti illegittimi rientrano quelli intimati senza l’indicazione di motivi. In questo caso, il datore di lavoro è obbligato a pagare un’indennità pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno lavorato, in misura non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità. Questo a meno che il giudice non accerti che vi siano i presupposti per le tutele previste per licenziamenti discriminatori, nulli, intimati oralmente, per giusta causa o giustificato motivo.

In tutti i casi di licenziamento illegittimo disciplinati dal Decreto Legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, è possibile evitare il ricorso al giudice optando la conciliazione stragiudiziale in sede protetta. Questa soluzione permette di ridurre i costi legali e le lunghe attese, facilitando un accordo pacifico tra le parti.

Il datore di lavoro, entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, può revocare la sua decisione, offrendo al lavoratore un risarcimento immediato tramite assegno circolare. L'importo deve corrispondere a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno lavorato, in misura non inferiore a 3 e non superiore a 27 mensilità.

Se il lavoratore accetta l'offerta di risarcimento anticipato, il rapporto di lavoro si considera concluso definitivamente. Ciò implica che il lavoratore non potrà più contestare il licenziamento e ricorrere contro il datore di lavoro. Una soluzione vantaggiosa per entrambe le parti.

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