Negli ultimi 6 mesi il 43% dei lavoratori ha ricevuto un sostegno economico straordinario per far fronte all’aumento dei costi: indennità una tantum, contributi per energia o spese, aumenti di stipendio.
7 lavoratori su 10 hanno cercato una soluzione proattiva: il 26% ha aumentato le ore di lavoro, il 22% ha iniziato un secondo lavoro, il 17% sta pensando di cercare un altro impiego con retribuzione più alta, il 15% valuta di posticipare il pensionamento.
Il 66% non accetterebbe un’offerta se non fosse un lavoro sicuro, il 58% se influisse negativamente sull’equilibrio vita-lavoro, il 48% se non sentisse senso di appartenenza.
Milano – Ben il 54% dei lavoratori italiani è preoccupato per l’impatto dell’incertezza economica sul proprio posto di lavoro, il 49% sulla propria carriera. Di fronte allo spettro di una possibile crisi economica e all’aumento dell’inflazione, i dipendenti chiedono più sicurezza occupazionale e stabilità finanziaria, ma non rinunciano a ricercare flessibilità organizzativa e un ambiente di lavoro di cui condividano i valori: oggi il 66% non accetterebbe un nuovo lavoro se non offrisse un inquadramento come dipendente e il 60% se non offrisse uno stipendio più elevato, il 58% se influisse negativamente sull’equilibrio vita-lavoro, il 48% se non sentisse senso di appartenenza.
Negli ultimi 6 mesi, il 43% dei lavoratori ha ricevuto un sostegno economico straordinario per far fronte all’aumento dei costi, nella forma di un’indennità una tantum per il costo della vita (17%), di contributi per il costo dell’energia dei viaggi o altre spese quotidiane (15%), di un aumento mensile in base al costo della vita (14%) o di un aumento di stipendio al di fuori della periodicità (9%). Ma non è sufficiente: ben 7 dipendenti su dieci hanno deciso di intraprendere una qualche azione per far fronte al carovita, come aumentare le ore lavorate (26%) o iniziare un secondo lavoro (22%). E c’è anche chi sta pensando di cambiare lavoro alla ricerca di una retribuzione più alta (17%), chi sta lavorando di più da casa per evitare costi degli spostamenti (15%) o, al contrario, di più in ufficio per risparmiare sulle bollette energetiche. E persino chi sta valutando di posticipare il pensionamento (15%).
Lo rivela il Randstad Workmonitor, l’indagine realizzata da Randstad in 34 Paesi del mondo, che ha intervistato 1000 lavoratori dipendenti di età compresa tra 18 e 67 anni in Italia (35mila a livello globale) sulle ultime tendenze del lavoro.
“Il difficile scenario internazionale e le prospettive incerte dal punto di vista economico influenzano anche la percezione delle persone sul lavoro, introducendo nuove preoccupazioni su stabilità, prospettive e una maggiore attenzione alle condizioni materiali, come la sicurezza stessa del posto - commenta Marco Ceresa, Group CEO di Randstad -. Ma gli italiani non sono disposti a rinunciare agli elementi di flessibilità, qualità del lavoro e worklife balance emersi con grande forza nel periodo pandemico. Infatti, anche in tempi apparentemente più difficili, secondo il Workmonitor il fattore più importante per gli italiani nel lavoro è l’equilibrio con la vita privata, indicato dal 96%, seguito dalla retribuzione al 95%, dalla sicurezza del lavoro al 91% e dalla flessibilità di orario all’83%”.
Sicurezza. L’84% dei lavoratori italiani si sente al sicuro grazie al lavoro attuale (in aumento del 5% rispetto ad un anno fa). Un valore piuttosto alto, tale da rendere scarsamente desiderabile una nuova opportunità professionale senza adeguate garanzie contrattuali.
Nonostante la generale preoccupazione per le prospettive economiche, oggi solo il 34% è preoccupato di perdere il lavoro. Ma in caso di licenziamento, quel che si aspettano dal datore di lavoro nel pacchetto di uscita (oltre l'indennità di licenziamento) è soprattutto un ampliamento del tempo benefit assistenziali per salute e cure mediche (38%), meno investimenti per la ricollocazione professionale come l’offerta di un servizio di outplacement (28%) o corsi di riqualificazione (23%, molto ambiti fra i 18-24enni con il 42%).
Aspettative economiche. Di fronte all’incremento nei costi, il 43% delle aziende italiane ha fornito un sostegno economico straordinario ai propri dipendenti. E circa un terzo dei dipendenti ha ricevuto un aumento negli ultimi 12 mesi.
Ma i lavoratori non si considerano adeguatamente retribuiti: il 37% afferma che lo stipendio non garantisce di vivere come vorrebbe (il 5% in più rispetto ad un anno fa). E il 44% vorrebbe un aumento di stipendio periodico, il 37% un aumento anche al di fuori della consueta periodicità. Richieste economiche che appaiono legate soprattutto alla straordinarietà del momento: al datore di lavoro chiedono soprattutto un aumento mensile in base al costo della vita (47%), contributi per il costo dell'energia, dei viaggi o di altre spese quotidiane (37%) o indennità una tantum (25%).
Flessibilità. La flessibilità di orario è rilevante nel lavoro attuale o futuro per l’83% degli italiani, quella di luogo per il 72%. Ma la sua importanza si capisce anche dal fatto che la mancanza di flessibilità è un buon motivo per rifiutare una nuova offerta di lavoro, nel 35% dei casi per l’orario, nel 33% per luogo. E per il 23% degli intervistati è stata la ragione per lasciare il posto di lavoro precedente.
In questo campo, le imprese italiane non soddisfano le aspettative dei lavoratori, nonostante un miglioramento. Il 45% delle organizzazioni offre già flessibilità oraria (e il 27% l’ha introdotta nell’ultimo anno), ma siamo ancora 8 punti sotto la media globale. Il 44% offre flessibilità di luogo (e il 25% l’ha introdotta nell’ultimo anno), 6 punti in meno della media globale.
Atteggiamento. Lo stato di incertezza del panorama globale induce a moderare ma non a rinunciare alla ricerca di una migliore qualità della vita, connessa a quella del lavoro. Il 58% dei lavoratori italiani non accetterebbe un lavoro che influisse negativamente sull’equilibrio vita-lavoro (soprattutto i giovani). E il 33% afferma di aver lasciato il precedente lavoro perché “non si adattava alla sua vita personale”.
Ma rispetto a un anno fa si osserva una maggiore cautela, con comportamenti più concilianti e adattabili tra i più giovani, per cui oggi è meno facile di un anno fa che un dipendente lasci un lavoro che non soddisfi i requisiti desiderati. Nella fascia 18-24 anni ad avere lasciato il lavoro per insufficiente flessibilità è il 13% in meno dello scorso anno (36% vs 49% di un anno fa), perché non si adattava alla vita personale il 12% in meno (39% vs 51%), per mancanza di opportunità di carriera il 12% in meno (36% vs 48%).
Appartenenza. La condivisione di valori si conferma importante e in alcuni casi discriminante nella scelta di un posto di lavoro. Per il 79% degli italiani i valori e gli obiettivi dell’azienda sono rilevanti per giudicare un posto di lavoro e nel 66% dei casi questa esigenza è soddisfatta dall’attuale posto di lavoro. E ancora, il 48% non accetterebbe un lavoro se non sentisse un senso di appartenenza, il 41% se l'organizzazione non si stesse impegnando in maniera proattiva per migliorare la diversità e l'equità, il 40% se non si stesse impegnando per essere più sostenibile, il 35% se non fosse in linea con i suoi valori su questioni sociali ed ambientali.
Il pensionamento. La pensione diventa un traguardo sempre più mobile. Come già evidenziato, per far fronte all’aumentare del costo della vita (oltre ad aumentare il carico di lavoro, ricercare un lavoro meglio retribuito, ridurre i costi fissi) il 15% dei lavoratori sta pensando a una proroga. Un’opzione di riserva considerata non solo dai più senior, ma anche dai giovani.
Potendo scegliere, il 91% degli intervistati andrebbe in pensione a 65 anni o prima, ma solo il 38% pensa di poter raggiungere questo obiettivo. Il principale motivo è identificato nella situazione finanziaria (55%), ma c’è anche un 27% che attende di raggiungere un traguardo specifico e un altro 27% che sente il bisogno di lavorare nella vita.